venerdì 13 febbraio 2009

Buenos Aires – giovedì 27 Novembre 2008

Un pomeriggio a teatro 

E’ un torrido giovedì pomeriggio di novembre, a Buenos Aires.

Con Virna, Emilia e Claudio decidiamo di andare a teatro presso la sala del A.T.E. (Asociacion de Trabajadores del Estado). C’è in programma la rappresentazione di “El Burgues Gentilhombre” di Moliere, messo in scena dagli ospiti dell’Hospital de Dìa, Hospital Nacional Prof. Alejandro Posadas. Come lo sport e la musica, anche nel sud del mondo, il teatro si rivela nella sua funzione universale: una grande occasione di incontro.

Prendiamo un taxi al volo semplicemente alzando un braccio (come nei film e ci piace tanto) ma restiamo imbottigliati nel traffico nei pressi di Plaza de los Dos Congresos a causa di una manifestazione di piazza contro il governo. Scambiamo quattro chiacchiere con il taxista che è figlio di un calabrese emigrato a Buenos Aires in cerca di fortuna nell’ultimo dopoguerra; parla un argentino italianizzato che si  comprende bene: ci racconta che nei giorni del default del 2001 i parlamentari uscivano di nascosto “come topi” dal parlamento per paura della reazione della gente ridotta quasi alla fame. Il taxi procede a passo di lumaca, il taxista ci chiede cosa facciamo da questa parti, e un coro di voci si leva dal sedile posteriore “per chiudere i manicomi” e io, contralto, “per aprire i manicomi”. Lui ci guarda perplesso, non capisce e noi spieghiamo: chiuderli perchè non esistano più luoghi di emarginazione e di violenza istituzionalizzata; aprirli per far uscire le persone e restituire loro libertà e dignità anche nella cura.

Il taxi è praticamente fermo, siamo in ansia perchè non vogliamo arrivare tardi. Nonostante il caldo opprimente decidiamo di proseguire a piedi, usciamo dalla zona congestionata dal traffico, il teatro è ancora lontano ed è tardi, decidiamo allora di prendere un altro taxi. Finalmente arriviamo!!!

Veniamo accolti con calore, ci consegnano un programma di sala in italiano che apprezziamo con gratitudine e sollievo. Lo spettacolo è appena iniziato. L’impatto scenico è forte, gli attori sono bravi e simpatici, la scenografia è essenziale, i costumi sono evidentemente fatti con pochi mezzi e tanta buona volontà e creatività. Lo sguardo scorre sulle persone, sui gesti, sui movimenti da guitti, apprezzo la cura e la passione per quello che stanno facendo. L’unico punto dolente è che parlano troppo velocemente in argentino e purtroppo mi sfuggono la maggior parte delle battute, per fortuna l’universalità del linguaggio del corpo teatrale facilita la comprensione delle situazioni e alcune di queste suscitano la nostra ilarità.

Dopo lo spettacolo incontro gli attori e la regista mentre insieme sorseggiano il mate nelle loro piccole zucche con le cannuccie di bambù, me lo offrono con generosità. Ho provato una grande tenerezza nel vederli lì, giù dal palco con ancora il trucco di scena sul viso, più timidi e schivi, gli abiti ripiegati nelle sporte, i pezzi di scenografia appoggiati per terra….. Sono curiosa, comincio a fare domande e mi rispondono prima timidamente poi via via sempre più sciolti, ci tengono a raccontare la loro esperienza e modulano la lingua e la gestualità per farsi capire. E ci riescono! Mi dicono che il gruppo nel suo insieme cura ogni parte dello spettacolo: dalla scelta della rappresentazione da mettere in scena alle attribuzioni dei personaggi agli attori, dalla scenografia ai costumi, dalle musiche alle luci. Mi raccontano che si incontrano per tre, spesso quattro, pomeriggi alla settimana nelle due stanze che hanno a disposizione al  Servizio de Psichiatria. L’impegno più grande è quello richiesto dall’interpretazione dei personaggi, come ciascuno di loro entra nella parte e rende il personaggio credibile. Gli attori continuano il gioco comico della commedia: Alejandra mi dice “Io sono Nicolaza! la interpreto facilmente, con mucho gusto!”, Damian fa intendere di avere il fascino di Cleonte e i suoi compagni ridono.

Ana Laisa è l’unica attrice professionista del gruppo, si occupa della regia e dell’organizzazione dello spettacolo. Mi spiega che il gruppo decide anno per anno su quale testo teatrale impostare il laboratorio che si conclude necessariamente con uno spettacolo. Su questo punto siamo più che d’accordo: non c’è teatro senza pubblico! Il lavoro si può definire compiuto solo attraverso le suggestioni e le emozioni suscitate negli spettatori. E’ questo il bello del teatro: alimenta i processi di espressività di sé, di relazione interpersonale e di creazione di cultura sia per chi lo fa che per chi assiste.

Arriva il pulmino il gruppo è impegnato nel caricare gli arredi e gli oggetti di scena per riportarli alla loro sede, ci salutiamo con calorosi baci, abbracci e scambi di mail.

Tra noi, lì, nell’atrio del teatro, si è creato un buon clima, di parole e di pelle, mi sono sentita parte di un gruppo più grande, persone accomunate nell’idea che il teatro è un luogo per sognare, per nutrire le emozioni, per fare scoperte sul senso stesso della vita.  

Monica di Ferrara 

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