martedì 3 febbraio 2009

PatasArriba pensiero

Un viaggio contro ogni pregiudizio per un mondo senza manicomi.

Questo è lo slogan stampato sulla bandiera che per 10 giorni ci ha accompagnato nel geometrico dedalo stradale di Buenos Aires, tra la gente, nei manicomi, nei ristoranti, alle partite di calcio e nei mercati che abbiamo attraversato in taxi o in bus o più semplicemente a piedi.

Ogni persona incontrata che pensava di condividere il nostro pensiero ha messo una firma sulla bandiera azzurra o su quella gialla o su tutte e due. Posso testimoniare che le firme raccolte sono tante, che è un buon segno.

Ma un tratto di pennarello, per quanto grosso, non cancella il pregiudizio, lo stigma. Sono i muri edificati dentro la testa delle persone, che sono fatti di mattoni e malta molto più resistenti di quelli degli edifici.

Qui in Italia siamo fortunati perchè almeno i muri fisici sono stati picconati e abbattuti. Ci ha pensato Franco Basaglia, promotore della Legge 180/78, che ha permesso in questi 30 anni, ai nostri concittadini che hanno problemi di personalità, di depressione, di mania, di autismo o semplicemente di solitudine di avere la possibilità di guarire o almeno di condurre una vita come tutti gli altri, con un lavoro, una casa, un amore e delle chance. Certo i problemi non mancano ma da quando in qua esiste una cosa perfetta?

In questo viaggio ho avuto il compito di riportare a casa un po' di momenti immortalandoli con la mia nikon. Riportare a casa i ricordi e le emozioni con un linguaggio che mi è più appropriato di quello scritto. Un mezzo come un altro per promuovere e per muovere le persone che di questi argomenti sono a digiuno o che non hanno idea di cosa significhi disagio mentale. Credo che le persone dovrebbero essere informate e magari vivere delle esperienze perchè possano rendersi conto che la realtà non cammina dall'altra parte del marciapiede ma che è lo stesso vestito con   il quale sta camminando.

Ci siamo resi conto che in Argentina la strada è ancora lunga e accidentata, ma le scarpe sono buone e si sta compiendo qualche passo nella direzione, dico io, giusta.

Ogni piccolo passo è un passo importante verso l'inclusione sociale e il riconoscimento dei diritti non solo per chi sta in manicomio, ma per tutte quelle persone che hanno difficoltà ad essere accettate dalla società perchè considerate diverse. 

Per questo il viaggio che abbiamo fatto non è stato solo un viaggio per conoscere, uno scambio culturale o un divertentissimo carnevale, ma nella promozione della salute mentale, un veicolo di valori universali che ci fanno ricordare che non esiste solo il nostro orticello dietro casa o l'avidità o l'egoismo e la paura, ma che siamo tutti nodi di una rete che ci lega. 

L'arrivo all'aeroporto di Buenos Aires, per me che non sono mai uscito dalla vecchia Europa, è stato proprio come l'ingresso nel nuovo continente e mi sono sentito come una gallina spelacchiata che esce dal pollaio per la prima volta, curiosa è un po intimorita ma sostanzialmente emozionata.

Il mio destino per fortuna non è stato quello di fare un buon brodo, ma quello, adesso che sono tornato, di fare felice me stesso e chi mi circondava, portando corpo, anima e le loro funzioni tra tanti altri corpi e anime.

Sono stati 10 giorni molto intensi, insieme agli Special Boys di San Giorgio di Piano e di tutta l'Emilia Romagna, oltre a delegazioni provenienti da tutta Italia.

Ho visto lo stadio del Boca Junior di Maradona e ascoltato il tango in calle Caminito immerso nei colori delle case rivestite di metallo e dipinte con la vernice delle barche.

Ho visitato il manicomio Borda con la sua, o meglio, la loro Radio Colifata, gestita da pazienti ed ex pazienti, ho visto il parco realizzato in memoria dei desaparecidos, ho visto l'hotel Bauen, occupato dai lavoratori, ho visto il manicomio di Torres, dove ci sono già esperienze avanzate di uscita delle persone dalla struttura.

Ho viaggiato sui taxi gialli e neri e ho visto la pioggia torrenziale di Buenos Aires, ho partecipato alla Murga a La Plata dentro a un corteo coloratissimo e scanzonato al ritmo dei tamburi urlando “no ai manicomi” e ho ballato la musica di gruppi locali al barrio Matadero insieme alle donne dell'ospedale psichiatrico per mujeres. Sono stato all'università di Bologna in BsAs a sorbirmi le belle parole dei dottoroni, ho visto la plaza de Majo, centro nativo della città e ho passeggiato per il mercato di San Telmo tra posate d'argento, cipolloni e bottiglie per la soda.

Ho anche baciato una hostess svedese in una delle serate in giro per Buenos Aires a ballare e a chiaccherare con una birra in mano e ho immaginato il terrore della dittatura militare ascoltando le storie dei desaparecidos, delle rappresaglie e dei voli della morte, dalla bocca di due studenti di vent'anni; ho letto il nome di molte persone morte per l'avidità di pochi.

Ho letto Mafalda e l'Eternauta. Ho sentito il fervore nelle parole di chi “lucha”, lotta, per la difesa del suo lavoro e dei suoi diritti fondamentali.

Ho mangiato il lomo di chorizo con fritas, la milanesa con rusa e ho bevuto la Quilmes e lo yerba mate con Dolores, una bella psicologa che vive con 300 euro al mese. Ho conosciuto persone colte e divertenti, giocherellone o maniache del caffe e delle sigarette. Ho conosciuto persone che si spaventano per un topolino e chi beve birra per calmarsi. Ho visto partite di calcio con tifi da stadio e persone con la testa schiacciata, senza arti o con la bava alla bocca e l'ho abbracciata per fargli sentire che anche se non potevo rimanere li siamo stati fortunati a conoscerci.

Ho parlato “castellano” o “argentino” e ancora dieci giorni e diventava la mia seconda lingua.

Ho scoperto un altro pezzo di me stesso e l'importanza delle persone.

Davide 

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