mercoledì 18 febbraio 2009

Radio La Coliafata (2)

Siamo alla Colifata una postazione radio in mezzo al parco del Borda, uno dei grandi manicomi di Buenos Aires  che ospita circa un migliaio di persone.

Quando arriviamo troviamo un gruppo di persone, tutte sedute a formare un ampio cerchio. L’attrezzatura necessaria per la trasmissione, pc, mixer microfoni e altro,  è collocata su una sedia di legno ed un vecchio carrello che da giovane probabilmente era stato utilizzato come   portavivande o dispensario per gli psicofarmaci: un lavoro noioso. Oggi  occupa una posizione invidiabile. Si trova al centro di un via vai di voci e di suoni che grazie alla tecnologia  di quegli strumenti che poggiano il loro peso sulla sua schiena possono raggiungerlo ed essere inviati, lontano, verso destinazioni sconosciute.

Due persone conducono la trasmissione. Una di loro, in diretta radiofonica, spiega chi siamo e ci presenta al gruppo di colifisti i quali ci accolgono con entusiasmo. Tra i presenti qualcuno si azzarda a cantare qualche strofa di una canzone  napoletana; altri ci salutano con un “Forza Italia”, un altro ancora invia un messaggio augurale “con tutti i pazzi  e con patasarriba creeremo un mondo migliore”: preferiamo quest’ultimo slogan.

Riceviamo la notizia che possiamo usare la macchina fotografica  e la video camera.

All’entrata ci avevano sconsigliato di mostrarle e le avevamo nascoste nei nostri zainetti in attesa di essere autorizzati. La strategia della negoziazione ha funzionato ed uno dei medici in servizio che conosce Ugo, uno psichiatra italiano di Torino che ci ha permesso di prendere contatto con i responsabili della radio e che fa parte del nostro gruppo, ci comunica la bella notizia. 

Come degli assetati dopo un lunga marcia sotto un sole cocente estraiamo velocemente le nostre macchine  e cominciamo a dissetarci alle fonte di quelle immagini che si animano davanti a noi e che avidamente, catturiamo con le nostre macchine da ripresa.

Ci saluta con grande affetto il presidente della Colifata, un anziano signore che proprio in questa giornata festeggia il proprio compleanno. Ci uniamo al coro che parte spontaneo e la canzoncina “tanti auguri a te…scavalca le mura del Borda e si incammina per il mondo

Intervengono Nives, Rita, Daniele, ….insieme portano il saluto ed il sostegno di tutti noi emiliano romagnoli  alla lotta antimanicomiale degli argentini.

Ora sono le mani di Hugo Lopez che stringono il microfono. Hugo, collabora da anni con la radio.  Per tantissimo tempo ha vissuto nell’ospedale psichiatrico ma ora finalmente vive in una casa vera a Buenos Aires. Hugo, un poeta all’impronta, è un vero mattatore della trasmissione, circola la voce che ha suonato con Manu Chao.Le sue parole sono una valanga di saggezza. Esordisce così: Patasarriba vuol dire rivoluzione e rivoluzione vuol dire evoluzione… il resto è una delizia per le nostre orecchie.

Radio La Colifata è un’ esperienza straordinaria ed i protagonisti sono loro, molti dei quali ancora ricoverati. I colifisti hanno la capacità di suscitare l’entusiasmo di chi si avvicina alla loro postazione. Tanto ritmo, tanta musica che spontanea nasce la voglia di ballare e senza accorgercene ci troviamo  a muoverci all’interno dell’ampio cerchio in mezzo ai grandi alberi  del parco seguendo le note che si riversano nello spazio che calpestiamo. Anche qui come durante gli altri incontri ai quali abbiamo partecipato in terra argentina la musica è sempre stato il collante naturale che ha  tenuto assieme le persone e le loro storie.

Alle spalle di chi è alla consolle, su una grande lavagna nera, col gesso una mano ha scritto il programma della trasmissione di oggi. Il palinsesto della giornata è fittissimo. La trasmissione è iniziata alle 15 e 30 e si concluderà alle 19 e 30. Gli interventi sono tanti e tutti speciali. Chi prende la parola racconta le esperienze di vita o presenta personali produzioni narrative. Le persone che incontriamo hanno maturato una grossa competenza e si mostrano particolarmente esperti nel dare vita alla trasmissione. Tutti noi ci chiediamo cosa ci facciano li dentro. Ci immaginiamo che una delle ragioni possa risiedere nel fenomeno della  povertà che in Argentina investe molte persone e non tanto in una necessità terapeutica.

I segnali di una generale condizioni di indigenza salta agli occhi di notte, quando battendo le strade del micro centro di Buenos Aires lo vediamo animarsi di bambini che dormono avvolti in cartoni sulla soglia di qualche negozio per garantirsi un minimo riparo o di piccoli gruppi di ragazzini che affondano le loro piccole mani nude nei sacconi della spazzatura lasciati sui marciapiedi alla chiusura dei negozi per potere separare con destrezza  la plastica dal vetro e dalla carta. Il tutto viene fatto con estreme velocità poichè altri sacchi d’ immondizia, attendono di essere esplorati da quelle minuscole mani prima della concorrenza…Altri bambini.

Sempre più il manicomio ci pare essere non tanto un luogo di cura della follia ma un posto dove, paradossalmente, si consuma il privilegio di avere un tetto sotto il quale ripararsi un letto sul quale riposarsi ed una scodella di cibo assicurata.

Ma torniamo alla radio La Colifata esperienza grazie alla quale le persone si spogliano dell’abito di paziente e le parole matto, loco recuperano la loro  dignità tutta il loro potenziale di trasformazione. Il racconto e la saggezza, l’esperienza di chi continua a vivere in questo territorio inventato dalla psichiatria ed ormai alla deriva come un cargo con i motori in avaria si lascia trasportare dalle correnti senza trovare  un approdo ed in questo vagare  la gente che lo abita riscopre la propria umanità ospite di un  corpo che l’istituzione manicomiale ha tentato invano di imbrigliare tenendone prigioniera la mente. E questo messaggio corre e cavalcando le onde trasmesse dalla Colifata raggiunge la comunità che le sta attorno per essere rilanciato sempre più in là da altre radio locali che, come in un gioco di specchi, piegandosi alla sua forza divengono ponte per irradiare questo segnale di libertà.

Da Imola abbiamo portato con noi le testimonianze di alcune persone che hanno vissuto un esperienza difficile e faticosa sul piano umano. Scegliamo uno tra i tanti contributi quello di Franco (che coincidenza anche Basaglia si chiamava così) con il quale augura agli uomini che abitano  nei manicomi argentini  che venga presto il giorno in cui possano decidere di curarsi liberamente e di prendere in mano  il proprio  destino anche nella sofferenza. Con l’aiuto di un’amica argentina proviamo a tradurlo in spagnolo e  aspettiamo che venga trasmesso .

All’improvviso un nubifragio ci sorprende: a volte anche gli dei sono dalla parte sbagliata

Nel giro di pochi minuti i preziosi strumenti che permettono alla Colifata di fare sentire forte la sua voce trovano riparo in una piccola  casettina posta a poca distanza dal grande mosaico che fa da sfondo ai tecnici del suono.

Insieme agli strumenti al pc al mixer ed ai microfoni anche le persone che avevano dato vita al vivace cerchio della Colifata lo abbandonano con passo veloce e  cercano di evitare la pioggia che rapidamente cresce d’intensità. Anche noi ci diamo alla fuga e mentre corriamo pensiamo al messaggio di Franco con la speranza che la radio riusca a mettergli le ali

Siamo alla ricerca dell’uscita. Le indicazioni, ospitate su vecchi e consunti cartelli o dipinte sulle mura fatiscenti dell’ospedale psichiatrico che da anni non ricevono nè attenzione nè cura dagli uomini che lo abitano, non ci sono d’aiuto. Guardandoci attorno cerchiamo qualcuno che possa orientarci per ritrovare la via dell’uscita.  Rivolgiamo la nostra richiesta d’aiuto alla prima persona che incrociamo: lei ci regala un  sorriso e ci risponde in spagnolo: state cercano la strada per fuggire? E subito dopo accompagna quella frase con un gesto della mano teso ad indicarci la direzione da seguire per “fuggire dal Borda”

All’ uscita incontriamo un gruppo di agenti addetti alla sicurezza, rinchiusi nella loro misera guardiola le cui pareti annerite e orfane di una vernice che da tempo ha deciso di abbandonare quel luogo prima degli uomini, scandiscono il tempo come il viso, abitato da rughe impietose, di un vecchio votato ad una inesorabile agonia .I guardiani, prigionieri anch’essi del loro ruolo, ci guardano con indifferenza e trascorrono il tempo a conversare davanti ad un fornelletto elettrico riscaldando l’acqua per il loro mate.

Buenos Aires è sommersa da una pioggia torrenziale. Come tutti gli abitanti di Buenos Aires che hanno un tetto sulla propria testa, siamo al riparo. La provvidenza ci viene in soccorso e dal nulla come il coniglio bianco di alice nel paese delle meraviglie compare un taxista che cerca di raggiungere rapidamente la propria auto. Viene immediatamente  preso d’assalto da tutti noi.

In quattro ci infiliamo nella vettura. Siamo salvi! Mentre ci dirigiamo verso l’ hotel che ci ospita, attraversiamo una Buenos Aires trasformata in una città lagunare: incredibili masse d’acqua spostate dal movimento delle auto, ormai divenute barche a motore, creano un moto ondoso irriverente che invade i negozi e gli atri dei palazzi inutilmente difesi dai sacchetti di sabbia posti a estremo baluardo di quell’oltraggioso gesto della natura. L’autista ci informa che la pioggia  difficilmente abbandona la sua morsa sulla città e che essa ci sarà compagna per qualche giorno ancora. Il nostro pensiero va ai bambini di strada che dovranno trascorrere le prossime notti riparandosi con cartoni inumiditi e richiedendo di tanto in tanto ai passanti distratti e frettolosi qualche pesos d’elemosina

Ennio

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