giovedì 15 gennaio 2009

Conferenza stampa all’Unibo di Baires - lunedì 24 novembre

DA VICINO NESSUNO E’ NORMALE

Dopo un’affollata assemblea mattutina nella la hall dell’albergo che ci ospita ci prepariamo a partire dall’hotel Salles per partecipare alla conferenza stampa che si terrà alla sede dell’università di Bologna a Buenos Aires. I preparativi sono febbrili. L’atrio dell’hotel è irriconoscibile, si è trasformato all’improvviso in un grande spogliatoio. C’è chi indossa le magliette con il logo di patas arriba , chi si veste con le bandiere che abbiamo portato dall’Italia annodandosele al collo e c’è chi ha tirato fuori dalla valigia magliette con la scritta:”da vicino nessuno e’ normale”. Le spillette con il richiamo ai diritti e alla salute mentale spuntano sul petto dei viaggiatori e sugli zainetti che accompagneranno il nostro cammino. L’ albergo e ormai diventato troppo piccolo per contenere l’entusiasmo dei 37 emiliano romagnoli.

Gli scatti delle macchine fotografiche e le riprese video si moltiplicano. E’ come se provassimo il timore che l’energia circolante nell’aria attorno a noi possa disperdersi, dissolversi e che la tecnologia abbia magicamente il potere di trattenerla per renderla disponibile quando ne avremo bisogno. La porta dell’hotel si spalanca, cedendo di fronte all’onda d’urto dei viaggiatori e finalmente quell’ energia del cambiamento si libera e trova il luogo dove esplodere: la strada.
E cosi lungo il marciapiedi dell’Avenida si crea un corteo festoso non autorizzato che con grande allegria si avvia verso la sede dell’università di Bologna dove ci attende il responsabile dell’Ateneo, i nostri amici dell’ADESAM, dell’UNASAM, la segretaria dell’ambasciatore e soprattutto gli altri italiani appena giunti in terra argentina dopo un viaggio un pò tribolato.
Dopo i saluti di rito, in maniera forte e prorompente prendono campo le emozioni, i sentimenti attraverso le testimonianze di Daniela, mamma che ha voluto partecipare a questo viaggio con la sua famiglia coinvolgendo i suoi figli Mirko e David di 16 e 10 anni perché convinta del valore educativo di un esperienza come la nostra. La testimonianza commossa, di Annamaria, la voce di chi sente le voci , che ha afferma con forza la necessità, da parte di ciascuno di noi, di riprendersi la vita. La priorità di combattere i pregiudizi in prima persona di Egidio, familiare convinto sostenitore del fare assieme e dei gruppi di auto e mutuo aiuto.
E’ poi la volta di Tuccio che a un certo punto della sua vita ha dovuto fare i conti con il malessere esistenziale di suo figlio e, proprio a partire da quella esperienza dolorosa, ha messo in guardia tutti dall’idea malsana di riproporre i manicomi come una cura possibile. Belle le parole con le quali ha concluso la sua testimonianza: “oggi mio figlio è guarito, lavora, ha delle relazioni significative, dirige una polisportiva insieme ad altri. Se Basaglia non avesse chiuso i manicomi mio figlio sarebbe stato una vittima di quelle pericolosa istituzione che serve esclusivamente ad annientare l’essere umano”.
Sono tante le voci arrivate in terra argentina per affermare lo stesso concetto.
Il colpo finale, lo ha dato il film sul viaggio Roma Pechino, quello girato dalla nostra amica imolese Margherita. Il film ha commosso tutti per la forza con la quale i protagonisti del documentario hanno raccontato con chiarezza la pratica del fare assieme nel suo farsi.
Dopo un buffet semplice e genuino, informale, con vino tinto molto buono e il rettore impegnato a rammentarci che quella era casa nostra, abbiamo salutato, preso al volo un taxi per correre verso la municipalità di Buenos Aires dove i rappresentanti della città insieme all’associazione ADESAM hanno organizzato un incontro per salutare i viaggiatori e mettere l’accento sulla necessità di un superamento degli ospedali psichiatrici e di un cambiamento nel campo delle politiche relative alla salute mentale.

All’appuntamento sono presenti un centinaio di persone tra italiani e argentini.

Dopo circa un’ora l’incontro si conclude. La stanchezza si fa sentire, aiutata dal caldo umido della giornata. Nella nostra memoria rimangono fissate le belle immagini della mattinata e le parole importanti che sono state spese soprattutto da familiari e persone che hanno dovuto ricorrere ai servizi di salute mentale per affrontare un momento critico della loro esistenza.

Più sfocata, diciamo pure deludente, quella del pomeriggio in cui i discorsi dei rappresentanti istituzionali sulla 180, sull’importanza di affermare i diritti di cittadinanza, sulla necessità di chiudere con l’esperienza dei manicomi, divengono più freddi, prevedibili e noiosi senza quel calore che solo chi ha attraversato l’esperienza del disagio può trasmettere.

Mentre lasciamo il Municipio della città gli impiegati del comune ci invitano a uscire da una porta laterale.

Dopo un po’ scopriamo il motivo. Davanti all’entrata principale del municipio, cittadini argentini stanno manifestando con slogan, tamburi e striscioni. Chiedono lavoro, casa, terra e una maggiore attenzione ai bisogni dei più poveri.

Forse questa è la conclusione migliore per una giornata come quella che abbiamo vissuto oggi e che ci ricorda con forza che al di là dei discorsi, la strada per la salute mentale è nella partecipazione, nel protagonismo del pueblo, come chiamano a Buenos Aires i cittadini, è nella pratica dei diritti.
Ennio

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