giovedì 15 gennaio 2009

La Plata - martedì 25 novembre


180 en todo el mundo


il corteo lungo le strade del centro della città


Si parte per raggiungere La Plata, capitale della provincia di Buenos Aires, luogo della prossima iniziativa di PATAS ARRIBA.


Da tempo i gruppi locali che lavorano attorno ai progetti di esternalizzazione (cosi vengono definiti i percorsi di fuoriuscita dai manicomi che coinvolgono le persone ricoverate in O.P) si sono attivati affinchè questa iniziativa potesse avere successo. Donne, uomini, ragazzi e ragazze che vivono negli istituti della zona saranno i protagonisti assoluti della giornata ed insieme ad operatori della salute mentale ed a cittadini volontari sensibili ai tema dei diritti, testimonieranno con forza la loro voglia di vivere la vita con dignità fuori dalle mura dell’ ospedale psichiatrico. Tutti si sono preparati da tempo per questo evento. Attraverso la costruzione di un percorso che ha messo al centro la creatività delle persone sono stati realizzati oggetti, striscioni, costumi, scritte. All’iniziativa sarà presente anche un gruppo di murga , costituito da percussionisti e danzatori che in Argentina accompagnano spesso quei momenti in cui è forte la voglia di far sentire la propria voce. Del gruppo, qui a La Plata, fanno parte a tutti gli effetti le persone ricoverate negli Ospedali psichiatrici che frequentano il centro diurno F. Basaglia.


In questi ultimi mesi, la preparazione di questa importante e sentita iniziativa è divenuto il pretesto per poter parlare, insieme alle persone che hanno vissuto l’esperienza tragica del manicomio, di diritti, di cittadinanza, di emancipazione sociale, di riappropriazione della vita.


Arrivati a La Plata scendiamo dagli autobus e poiché siamo in anticipo rispetto all’orario stabilito ci fermiamo a fare uno spuntino. Noi Emiliano romagnoli siamo in tanti e rumorosi. Alcuni componenti di altri gruppi regionali si uniscono a noi. La voglia di “star bene insieme” non manca e chiunque passa da lì non può che rimanere contagiato dall’atmosfera che si respira. C’è chi tra i commensali tira fuori dei tamburelli ai quali si accompagna una sorridente fisarmonica ed immediatamente si alzano voci che intonano tarantelle e canti popolari.


E’ tempo di muoversi. Paghiamo le consumazioni e ci dirigiamo verso Piazza San Martin.


Sembriamo tanti fili dai colori e dalle fatture diverse che si muovono nello spazio cercando di unirsi in una trama comune con altri fili, gli amici argentini. Seguiamo le tracce che, sulle nostre teste, disegnano lunghi e sottili nastri colorati. Più in là compaiono alla nostra vista fogli, stesi lungo delle corde sottili, all’ombra di un sole cocente, come indumenti ad asciugare, sui quali sono impressi forme dai colori vivaci e frasi che parlano di sogni, di desideri, di libertà. E così senza accorgercene prende corpo la trama inestricabile di un tessuto umano che un magico telaio, costruito da utopie condivise, in questo remoto posto della terra riesce a tessere. Uomini e donne che una legge, la 180, ha permesso di vivere il disagio mentale come una possibilità e non come una colpa, si incontrano per stringere la mano ad altri uomini ed ad altre donne che dopo decenni di esilio dietro le mura di una istituzione totale stanno scommettendo di nuovo sulla vita, stanno cercando una strada per la propria emancipazione sfidando una cultura ed un sistema “QUE TE QUITA EL ALMA E TE SUMERGE EN UN MUNDO DE IRREALIDAD”


Più in là il suono prodotto da tamburi, cimbali e piccoli strumenti a percussione attirano la nostra attenzione. Il suono incessante prodotto da quegli strumenti accompagna i movimenti di un gruppo di persone che sembrano rapite da una danza liberatoria. Il ritmo coinvolgente ed incalzante che quegli strumenti producono ci trasforma, ci seduce e risveglia da un sonno antico un movimento che è sempre stato dentro di noi che ci porta ad unirci agli altri. Come tanti pifferai magici i percussionisti ed i danzatori ci trascinano lungo le strade della città formando un colorato serpentone che suscita la curiosità divertita dei passanti. Attraversiamo il centro cittadino. Le auto e gli autobus fermi in attesa mentre transità il nostro corteo si inchinano al nostro passaggio


Ecco ! La città guarda dai finestrini degli autobus, dai marciapiedi, dai tavoli dei bar sparsi lungo le strade l’altra parte di se, quella negata, quella formata degli invisibili che fino a qualche tempo fa erano relegati dietro le mura dei manicomi, quella parte dell’umanità alla quale erano stati negati voce e diritti.


Dolores ed Elisabetta sono due psicologhe che hanno costruito insieme alle donne e agli uomini che frequentano il centro diurno Franco Basaglia questa giornata di festa e di mobilitazione
Son loro che, subito dopo la conclusione della manifestazione, ci invitato a visitare il centro Franco Basaglia dove lavorano.


Ci accoglie sorridente un uomo della sicurezza che protegge il centro da eventuali assalti o furti. Tutto attorno le case presentano inferriate alla finestra conseguenza dovuta alla esistenza di vaste fasce di povertà e quindi alla presenza di fenomeni di micro criminalità. Le inferriate proteggono anche alla porta e le finestre del centro diurno ma questa volta non servono per rinchiudere le persone che lo frequentano o a tutelare i vicini di casa da possibili comportamenti aggressivi di chi ha vissuto in ospedale psichiatrico. Le inferriate , in questo caso, servono a preservare le persone, che frequentano il centro e che sono protagoniste di un progetto di inclusione sociale, dalla possibilità di essere oggetto delle cattive intenzioni di piccoli delinquenti locali.


Dolores ed Elisabeta, due psicologhe che prestano la loro opera all’interno del centro diurno ci introducono negli spazi di questo fortino
Visitiamo la sala da pranzo, il soggiorno, la cucinetta. Nel centro è allestita una mostra fotografica su Franco Basaglia che però non riusciamo a visitare poiché nessuno dei presenti è in possesso delle chiavi. Visitiamo i luoghi all’aperto. Ci mostrano l’orto in cui si coltivano zucche, pomodori ed altri ortaggi. Possiedono anche un allevamento di vermi. Dolores con un bastone solleva del terriccio e ad noi occhi compaiono dei vermi lunghi e grassottelli che si contorcono infastiditi. Elisabeta ci indica il luogo, sotto una tettoia, dove si tengono le riunioni d’equipe e le assemblee con gli utenti del centro diurno . Di fianco, a ridosso di una parete è presente l’immancabile parilla, la griglia sulla quale si può cuocere la saporita e tenere carne argentina.


La palazzina nella quale è ubicato il centro si sviluppa su due piani. Al secondo piano si trovano gli ambulatori dove si tengono i colloqui individuali e si dispensano i farmaci.


La cosa più interessante è costituita dal fatto che gli operatori fanno un costante ed intenso lavoro di contatto con la comunità, con i cittadini. Il centro che è aperto dal lunedì al sabato fino alle 20, 20 e 30, ogni giorno si riempe di artisti, artigiani, danzatori, esperti di multimedia, studenti, tirocinanti che interpretano gli interventi fuori da logiche psichiatriche, utilizzando spazi/laboratorio attrezzati per lavorare la cartapesta, per far musica, danza, dipingere e costruire ceste.


Tutte queste cose le abbiamo ritrovate nella festa collettiva alla quale abbiamo partecipato.
Uno di noi, prima di andar via, di fronte all’entusiasmo con il quale Elisabeta ci raccontava la sua esperienza nel centro le ha chiesto se fosse una dipendente dell’ospedale psichiatrico.
“Sono una psicologa laureata da qualche anno”, ha risposto Elisabeta. E poi continuando : “Faccio la volontaria da circa tre ed in questo momento non penso ad un’assunzione. Spendo il mio tempo qui semplicemente perche m piace”
Per un momento si è creato un breve momento di silenzio e gli occhi di Elisabetta si sono posati sui nostri: sembrava si domandasse “che strana preoccupazione quella di questi italiani”.


Ennio

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